Con oltre 220 mila matrimoni l’anno, a cui si aggiungono circa 9.000 coppie di sposi stranieri, il settore del wedding italiano è tra i più sviluppati del mondo, capace di generare un indotto economico di circa 10 miliardi di euro, con una spesa media per matrimonio tra i 20 mila e i 40 mila euro. (dati i.stat e Assoeventi).

Una vera e propria industria grande più o meno come quella del cinema italiano che crea valore aggiunto e occupazione e che adesso, più di altre, rischia di essere spazzata via dall’emergenza coronavirus.

Eppure, di Wedding si parla poco o niente – dice Emiliano Bengasi titolare e stilista dell’omonima maison fermana - e fatto ancor più grave, si parla ancora meno dei professionisti che animano uno dei settori più dinamici e attrattivi della nostra economia. Professionisti e imprese completamente dimenticati dal Governo e dalle istituzioni nel momento di massima difficoltà. L’ultimo esempio è il DL Ristori: il meccanismo basato sui codici Ateco previsto dal governo esclude completamente il settore, che pure è stato fortemente colpito dal penultimo DPCM. Si tratta di decine di migliaia di autonomi e imprese, dalle location al catering e banqueting, dai fotografi e videomaker ai musicisti passando per sartorie specializzate, fioristi, allestitori, agenzie di viaggi, make-up artist & hair stylist, imprese dell’animazione e dell’intrattenimento, agenzie di noleggio vetture da cerimonia e ovviamente la categoria wedding planner. Tutti Ateco diversi, ma tutti di un unico settore. Per questo chiediamo, con forza, il superamento del meccanismo ATECO, non adatto a questo momento di grave crisi. Serve inoltre un intervento diretto per il wedding. In questo momento terribile a causa dell’emergenza COVID-19, servono misure concrete che possano compensare i mancati fatturati e sostenerlo fino alla ripresa, purtroppo ancora lontana.

In particolare, occorre aprire un tavolo con il governo per coordinare e valutare con le imprese ed i professionisti del settore per monitorare le difficoltà delle imprese e preparare il rilancio del settore. Serve poi il riconoscimento di un ristoro diretto dei costi di esercizio proporzionato ai giorni di inattività visto che sono 65.000 i matrimoni annullati nel solo 2020 e non ancora riprogrammati e il 70% sono stati rinviati al 2021. Le aziende del wedding in un anno hanno lavorato soltanto un mese e nemmeno a pieno regime come possono sopravvivere pensando che se tutto andrà le prime entrate le avranno a partire da maggio 2021?

Il governo non può chiudere gli occhi davanti all’evidenza e deve tener conto anche della nostra categoria”.

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